La comunicazione russa e il conflitto in Ucraina

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Alcune considerazioni sulla comunicazione russa che ha preceduto il conflitto in Ucraina spingono al pessimismo.

Nelle prime ore di quella che sembra l’alba di una guerra senza precedenti, non è fuori luogo porsi delle domande sulla comunicazione russa nei giorni che hanno preceduto il conflitto in Ucraina. I media stiano sollevando motivati dubbi sulla genuinità delle tesi di Mosca, per la quale le lancette della storia sembrano tornate ai terribili anni 1938/39.

Linguaggio non verbale

La cosa che più ci ha colpito è che né Putin, né i suoi ministri, né l’agenzia informativa russa per l’estero hanno mai dato l’impressione di parlare al mondo occidentale. A differenza degli estremisti islamici, per esempio, che hanno mostrato di sapersi adattare alle caratteristiche della nostra comunicazione per sfruttarle a proprio vantaggio, toccando le corde giuste, i toni e i gesti usati in questa circostanza sono lontanissimi dai nostri.

Curiosamente, anche la riunione del Consiglio di Sicurezza che ha votato per il riconoscimento delle repubbliche separatiste e che avrebbe dovuto dare solennità all’evento, ha lasciato perplessità. Alcuni, invece che autorevolezza, hanno ravvisato terrore nei suoi membri; un effetto totalmente opposto a quello che si voleva trasmettere.

D’altronde, è anche difficile credere che Putin si stesse rivolgendo solo alla propria nazione, alla quale stava chiedendo di entrare in guerra. Il discorso di Putin del 21 febbraio ha mostrato una persona fredda, priva di emozioni, con un distacco accentuato da una gestualità limitata. L’analisi del linguaggio non verbale è da lasciare agli specialisti, tanto più che la tecnica si presta a interpretazioni non univoche; nell’immediato, però, quello che conta è la percezione del pubblico, prima dell’analisi degli specialisti.

E’ possibile che, in questo modo, si sia voluto trasmettere un messaggio di superiorità verso l’interlocutore occidentale; tuttavia, chi non mostra coinvolgimento alcuno in quello che proclama probabilmente sta mentendo. In questo caso, il distacco mostrato nei gesti contraddiceva la dichiarata disponibilità a trattative diplomatiche.

Il principale risultato di tutto ciò è una scarsa credibilità dei messaggi partiti da Mosca agli occhi del mondo occidentale. Era stata messa in conto?

Sviste nella comunicazione russa

L’aspetto non verbale, però, non esaurisce il problema. In generale, tutta la comunicazione ufficiale russa ha dato la sensazione di seguire stancamente e goffamente un copione scritto a priori. Un copione nemmeno troppo originale, visto che ricalca la narrativa nazista che ha preceduto ogni conquista territoriale nel biennio 1938/39. Esprimere in modo più convinto e convincente le tesi russe sui media, però, avrebbe potuto e dovuto essere un efficace sostegno alle tesi del Cremlino.

Certo, le giustificazioni moscovite all’invasione suonano come processi alle intenzioni; e non è comunque facile giustificare un’aggressione militare. Ciò, però, non giustifica i grossolani errori di questi giorni, come le presunte dirette in cui gli orologi dei partecipanti non segnavano l’ora della trasmissione, che riguardano:

Alcuni video che denunciano l’inizio dell’attacco ucraino al Donbass, messi in rete dai separatisti, sono risultati esser stati girati giorni prima. Infine, alcuni inviati occidentali hanno documentato l’arrivo dalla Russia di veicoli militari senza insegne, che forse avrebbero dovuto restare segreti.

Si ritiene che l’azione militare in Ucraina sia stata programmata da molto tempo, forse dal luglio del 2021. Come, allora, mai questi dettagli così evidenti sono sfuggiti?

Messaggi trasversali

Sempre nel suo discorso del 21 febbraio, Vladimir Putin ha denunciato tra le altre cose che l’Ucraina stava abbandonando le sue tradizioni russe per conformarsi alle abitudini occidentali (N.d.A.: per il momento non trovo una citazione precisa, ma ricordo di averlo udito in diretta). La contrapposizione tra le tradizioni locali e decadenza dello stile di vita occidentale ha radici lontane, come hanno spiegato Buruma e Margalit:

Ciò che abbiamo chiamato “occidentalismo” è il quadro disumanizzato dell’Occidente che tratteggiano i suoi nemici, e nel nostro saggio di proponiamo di esaminare questo nodo di pregiudizi, rintracciandone le radici storiche.

E’ chiaro che non possono essere spiegati come un problema specificatamente islamico.

Ian Buruma e Avisahai Margalit, Occidentalismo – L’Occidente agli occhi dei suoi nemici

Posto che Putin non sembrava parlare all’Occidente, è possibile che si rivolgesse a quanti – dalla Cina agli estremisti islamici – percepiscono l’Occidente come una minaccia culturale da abbattere? Se ci fossero già alleanze in questo senso, dovremmo aspettarci a breve termine un conflitto su vasta scala, da Taiwan a Israele e all’Africa.

La Cina, peraltro, non ha condannato l’invasione e negli ultimi mesi la Russia è stata sempre più attiva nel contrastare le incursioni aeree di Israele in Siria.

Il dilemma del prigioniero

Come si può rispondere a questi atteggiamenti? Viene in mente dilemma del prigioniero in versione iterata. I due giocatori devono prendere una decisione in modo autonomo e senza scambi di informazioni. Il risultato del gioco è dato dalla combinazione delle due scelte. Nel nostro caso, l’Occidente e la Russia devono continuamente se collaborare o no.

Le Scienze, edizione italiana di Scientific American, dedicò a questo tema alcuni interessanti articoli a partire dal luglio del 1983. Essi mostrano che se uno dei due giocatori si muove in maniera più o meno scorrelata rispetto alle decisioni dell’avversario, quest’ultimo avrà interesse a fare sempre la scelta che potenzialmente massimizza il proprio profitto, invece di massimizzare il risultato comune.

In termini reali, se uno dei due contendenti si muove senza relazionarsi in alcun modo con l’altro, ogni forma di dialogo e di collaborazione è inutile. Il secondo interlocutore, sapendo che le sue scelte non influenzano quelle del primo, finirà con fare sempre le scelte più convenienti per sé, anche quando sono un danno per l’altro.

Si tratta di una simulazione semplificata di comportamenti sociali complessi, ma contiene indicazioni assai utili. Applicare questo scenario alla situazione attuale è abbastanza spaventoso, ma per arrivarci basta la scelta di uno solo dei giocatori. La Russia ha fatto questa scelta?

Conclusioni

La comunicazione russa precedente l’invasione dell’Ucraina sembra essersi auto-smentita continuamente. Se i dubbi che abbiamo espresso sopra sono il frutto di un’imprevista accelerazione degli eventi, è possibile che la situazione sia ancora recuperabile. Diversamente, pur nei loro evidenti limiti, potrebbero indicare che da Mosca non c’è alcuna volontà di dialogo e che la Russia mente quando dice che i suoi obiettivi si limitano all’Ucraina; dovremmo allora prepararci ad affrontare un lungo periodo di instabilità con conflitti diffusi, di intensità non bassa e già pianificati, dei quali l’invasione dell’Ucraina sarebbe solo l’inizio.

Edit del 28 febbraio

E’ sempre utile verificare le impressioni a calda a qualche giorno di distanza; le prime analisi sul linguaggio non verbale, per esempio, dicono che nel discorso del 21 febbraio Putin dovrebbe trasmettere autorevolezza e calma, e nel complesso c’è coerenza tra componente verbale e non verbale. Le analisi non riguardano tutto il discorso di 55 minuti, ma brevi spezzoni di esso; aiutano, però, a definire alcuni aspetti importanti. “E’ un discorso ben impostato, provato più volte e preparato con cura”, dice Fabio Pandiscia, confermando indirettamente che le decisioni erano state prese da tempo e che non sono una reazione agli eventi più recenti. Le poche emozioni che trapelano nel discorso riguardano il disgusto verso i nemici, certamente autentico. Nulla abbiamo trovato, però, sull’effetto complessivo delle tecniche usate nell’arco dei 55 minuti.

Dal punto di vista politico, invece, sono giunte varie conferme su un interesse strategico per la Cina (Dmitri Suslov e Sergey Karaganov ne approfondiscono gli aspetti) che, insieme ai messaggi di appoggio ricevuti dall’Iran e dalla Siria, potrebbero confortare le nostre ipotesi di un discorso diretto anche – se non soprattutto – a potenziali alleati.

Sono continuate, infine, le contraddizioni tra parole e fatti. La non troppo velata minaccia di ricorrere all’uso di armi nucleari dopo quattro giorni di conflitto potrebbe essere uno dei segni di debolezza di fronte alle difficoltà di un conflitto che non si è svolto nei modi e nei tempi previsti; consolida, però, l’impressione di sempre più totale inaffidabilità in un’eventuale azione diplomatica. Non possiamo sapere se la sostanziale sparizione dalla scena del ministro degli esteri russo Lavrov sia in qualche modo legata a questo comportamento.


(Foto di copertina: Leonard Niederwimmer da Pixabay)

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